Incipit
C'era una volta un uomo, il quale aveva palazzi e ville
principesche, e piatterie d'oro e d'argento, e mobilia di lusso
ricamata, e carrozze tutte dorate di dentro e di fuori. Ma
quest'uomo, per sua disgrazia, aveva la barba blu: e questa cosa lo
faceva cos brutto e spaventoso, che non c'era donna, ragazza o
maritata, che soltanto a vederlo, non fuggisse a gambe dalla paura.
Fra le sue vicinanti, c'era una gran dama, la quale aveva due
figlie, due occhi di sole. Egli ne chiese una in moglie, lasciando
alla madre la scelta di quella delle due che avesse voluto dargli:
ma le ragazze non volevano saperne nulla: e se lo palleggiavano
dall'una all'altra, non trovando il verso di risolversi a sposare un
uomo, che aveva la barba blu. La cosa poi che pi di tutto faceva
loro ribrezzo era quella, che quest'uomo aveva sposato diverse donne
e di queste non s'era mai potuto sapere che cosa fosse accaduto.
Fatto sta che Barba-blu, tanto per entrare in relazione, le men,
insieme alla madre e a tre o quattro delle loro amiche e in
compagnia di alcuni giovinotti del vicinato, in una sua villa, dove
si trattennero otto giorni interi. E l, fu tutto un metter su
passeggiate, partite di caccia e di pesca, balli, festini, merende:
nessuno trov il tempo per chiudere un occhio, perch passavano le
nottate a farsi fra loro delle celie: insomma, le cose presero una
cos buona piega, che la figlia minore fin col persuadersi che il
padrone della villa non aveva la barba tanto blu, e che era una
persona ammodo e molto perbene. Tornati di campagna, si fecero le
nozze.
...
Incipit
C'era una volta un Re e una Regina che erano disperati di non
aver figliuoli, ma tanto disperati, da non potersi dir quanto.
Andavano tutti gli anni ai bagni, ora qui ora l: voti,
pellegrinaggi; vollero provarle tutte: ma nulla giovava. Alla fine
la Regina rimase incinta, e partor una bambina. Fu fatto un
battesimo di gala; si diedero per comari alla Principessina tutte le
fate che si poterono trovare nel paese (ce n'erano sette) perch
ciascuna di esse le facesse un regalo; e cos toccarono alla
Principessa tutte le perfezioni immaginabili di questo mondo. Dopo
la cerimonia del battesimo, il corteggio torn al palazzo reale,
dove si dava una gran festa in onore delle fate. Davanti a ciascuna
di esse fu messa una magnifica posata, in un astuccio d'oro
massiccio, dove c'era dentro un cucchiaio, una forchetta e un
coltello d'oro finissimo, tutti guarniti di diamanti e di rubini. Ma
in quel mentre stavano per prendere il loro posto a tavola, si vide
entrare una vecchia fata, la quale non era stata invitata con le
altre, perch da cinquant'anni non usciva pi dalla sua torre e
tutti la credevano morta e incantata. Il Re le fece dare una posata,
ma non ci fu modo di farle dare, come alle altre, una posata d'oro
massiccio, perch di queste ne erano state ordinate solamente sette,
per le sette fate. La vecchia prese la cosa per uno sgarbo, e
brontol fra i denti alcune parole di minaccia. Una delle giovani
fate, che era accanto a lei, la sent, e per paura che volesse fare
qualche brutto regalo alla Principessina, appena alzati da tavola,
and a nascondersi dietro una portiera, per potere in questo modo
esser l'ultima a parlare, e rimediare, in quanto fosse stato
possibile, al male che la vecchia avesse fatto.
...
Incipit
C'era una volta un gentiluomo, il quale aveva sposata in seconde
nozze una donna cos piena di albagia e d'arroganza, da non darsi
l'eguale. Ella aveva due figlie dello stesso carattere del suo, e
che la somigliavano come due gocce d'acqua. Anche il marito aveva
una figlia, ma di una dolcezza e di una bont da non farsene
un'idea; e in questo tirava dalla sua mamma, la quale era stata la
pi buona donna del mondo. Le nozze erano appena fatte, che la
matrigna dette subito a divedere la sua cattiveria. Ella non poteva
patire le buone qualit della giovinetta, perch, a quel confronto,
le sue figliuole diventavano pi antipatiche che mai. Ella la
destin alle faccende pi triviali della casa: era lei che
rigovernava in cucina, lei che spazzava le scale e rifaceva le
camere della signora e delle signorine; lei che dormiva a tetto,
proprio in un granaio, sopra una cattiva materassa di paglia, mentre
le sorelle stavano in camere coll'impiantito di legno, dov'erano
letti d'ultimo gusto, e specchi da potervisi mirare dalla testa fino
ai piedi. La povera figliuola tollerava ogni cosa con pazienza, e
non aveva cuore di rammaricarsene con suo padre, il quale l'avrebbe
sgridata, perch era un uomo che si faceva menare per il naso in
tutto e per tutto dalla moglie. Quando aveva finito le sue faccende,
andava a rincantucciarsi in un angolo del focolare, dove si metteva
a sedere nella cenere; motivo per cui la chiamavano comunemente la
Culincenere. Ma la seconda delle sorelle, che non era cos sboccata
come la maggiore, la chiamava Cenerentola. Eppure Cenerentola, con
tutti i suoi cenci, era cento volte pi bella delle sue sorelle,
quantunque fossero vestite in ghingheri e da grandi signore. Ora
accadde che il figlio del Re diede una festa da ballo, alla quale
furono invitate tutte le persone di grand'importanza e anche le
nostre due signorine furono del numero, perch erano di quelle che
facevano grande spicco in paese. Eccole tutte contente e tutte
affaccendate a scegliersi gli abiti e le pettinature, che tornassero
loro meglio a viso. E questa fu un'altra seccatura per la povera
Cenerentola, perch toccava a lei a stirare le sottane e a dare
l'amido ai manichini. Non si parlava d'altro in casa che del come si
sarebbero vestite in quella sera. "Io", disse la maggiore, "mi
metter il vestito di velluto rosso e le mie trine d'Inghilterra."
"E io", disse l'altra, "non avr che il mio solito vestito: ma, in
compenso, mi metter il mantello a fiori d'oro e la mia collana di
diamanti, che non dicerto di quelle che si vedono tutti i giorni."
...
Incipit
C'era una volta un taglialegna e una taglialegna, i quali avevano
sette figliuoli, tutti maschi: il maggiore aveva dieci anni, il
minore sette. Far forse caso di vedere come un taglialegna avesse
avuto tanti figliuoli in cos poco tempo: ma egli , che la sua
moglie era svelta nelle sue cose, e quando ci si metteva, non faceva
meno di due figliuoli alla volta. E perch erano molto poveri, i
sette ragazzi davano loro un gran pensiero, per la ragione che
nessuno di essi era in grado di guadagnarsi il pane. La cosa che
maggiormente li tormentava, era che il minore veniva su delicato e
non parlava mai: e questo che era un segno manifesto di bont del
suo carattere, lo scambiavano per un segno di stupidaggine. Il
ragazzo era minuto di persona; e quando venne al mondo, non passava
la grossezza di un dito pollice; per cui lo chiamarono Puccettino.
Capit un'annata molto trista, nella quale la carestia fu cos
grande, che quella povera gente risolvettero di disfarsi de' loro
figliuoli. Una sera che i bambini erano a letto, e che il
taglialegna stava nel canto del fuoco, disse, col cuore che gli si
spezzava, alla sua moglie: "Come tu vedi, non abbiamo pi da dar da
mangiare ai nostri figliuoli: e non mi regge l'animo di vedermeli
morir di fame innanzi agli occhi: oramai io sono risoluto a menarli
nel bosco e farveli sperdere; n ci vorr gran fatica, perch,
mentre essi si baloccheranno a far dei fastelli, noi ce la daremo a
gambe, senza che abbiano tempo di addarsene". "Ah!", grid la
moglie, "e puoi tu aver tanto cuore da sperdere da te stesso le tue
creature?" Il marito ebbe un bel tornare a battere sulla miseria, in
cui si trovavano; ma la moglie non voleva acconsentire a nessun
patto. Era povera, ma era madre: peraltro, ripensando anch'essa al
dolore che avrebbe provato se li avesse veduti morire di fame, fin
col rassegnarvisi, e and a letto piangendo. Puccettino aveva
sentito tutti i loro discorsi: e avendo capito, dal letto, che
ragionavano di affari, si lev in punta di piedi, sgattaiolando
sotto lo sgabello di suo padre, per potere ascoltare ogni cosa
senz'esser visto. Quindi ritorn a letto, e non chiuse un occhio nel
resto della nottata, rimuginando quello che doveva fare. Si lev a
giorno, e and sul margine di un ruscello, dove si riemp la tasca
di sassolini bianchi: poi chiotto chiotto se ne torn a casa.
Partirono, ma Puccettino non disse nulla ai suoi fratelli di quello
che sapeva. Entrarono dentro una foresta foltissima, dove alla
distanza di due passi non c'era modo di vedersi l'uno coll'altro. Il
taglialegna si messe a tagliar legne, e i ragazzi a raccogliere
delle frasche per far dei fastelli.
...
Incipit
C'era una voIta un Re cos potente, cos ben voluto da' suoi
popoli e cos rispettato dai suoi vicini e alleati, che poteva dirsi
il pi felice di tutti i monarchi della terra. Fra le sue tante
fortune, c'era anche quella di avere scelta per compagna una
Principessa, bella quanto virtuosa: e questi avventurati sposi
vivevano come due anime in un nocciolo. Dal loro casto imeneo era
nata una figlia, ornata di tutte le grazie e di tutte le attrattive,
a segno tale da non far loro desiderare una figliuolanza pi
numerosa. Il lusso, l'abbondanza, il buon gusto regnavano nel loro
palazzo: i ministri erano saggi e capaci: i cortigiani virtuosi e
affezionati: i domestici fidati e laboriosi: le scuderie vaste e
piene de' pi bei cavalli del mondo, tutti coperti di magnifiche
gualdrappe. Ma la cosa che faceva maggiormente stupire i forestieri,
che venivano a visitare quelle belle scuderie, era che nel bel mezzo
di esse e nel luogo pi vistoso, un signor Somaro faceva sfoggio
delle sue grandi e lunghe orecchie. N si pu dire che questo fosse
un capriccio; se il Re gli aveva assegnato un posto particolare e
quasi d'onore, c'era la sua ragione. Perch bisogna sapere che
questo raro animale meritava davvero ogni riguardo, a motivo che la
natura lo aveva formato in un modo cos straordinario e singolare,
che tutte le mattine la sua lettiera, invece di essere sporca, era
ricoperta a profusione di bellissimi zecchini e napoleoni d'oro, che
venivano raccattati, appena egli si svegliava. Ma siccome le
disgrazie sono tegoli che cascano sul capo dei Re come su quello dei
sudditi, e non c' allegrezza senza che ci sia mescolato qualche
dispiacere, cos accadde che la Regina fu colta all'improvviso da
una fiera malattia, per la quale n la scienza n i medici sapevano
suggerire rimedio di sorta. La desolazione era al colmo. Il Re,
tenero di cuore e innamoratissimo, a dispetto del proverbio che dice
"Il matrimonio la tomba dell'amore", si dava alla disperazione e
faceva voti ardentissimi a tutte le divinit del regno, e offriva la
sua vita per quella di una sposa cos adorata: ma gli Dei e le fate
erano sordi a ogni preghiera. Intanto la Regina, sentendo
avvicinarsi l'ultim'ora, disse al suo sposo, il quale struggevasi in
pianto: "Prima di morire, non vi abbiate a male se esigo da voi una
cosa; ed , che nel caso vi venisse voglia di rimaritarvi...". A
queste parole il Re dette in urli da straziare il cuore. Prese le
mani di sua moglie e le bagn di pianto, giurando che era un di pi
venirgli a parlare di un altro matrimonio.
...
Incipit
C'era una volta una vedova che aveva due figliuole. La maggiore
somigliava tutta alla mamma, di lineamenti e di carattere, e chi
vedeva lei, vedeva sua madre, tale e quale. Tutte e due erano tanto
antipatiche e cos gonfie di superbia, che nessuno le voleva
avvicinare. Viverci insieme poi, era impossibile addirittura. La pi
giovane invece, per la dolcezza dei modi e per la bont del cuore,
era tutta il ritratto del suo babbo... e tanto bella poi, tanto
bella, che non si sarebbe trovata l'eguale. E naturalmente, poich
ogni simile ama il suo simile, quella madre andava pazza per la
figliuola maggiore; e sentiva per quell'altra un'avversione, una
ripugnanza spaventevole. La faceva mangiare in cucina, e tutte le
fatiche e i servizi di casa toccavano a lei. Fra le altre cose,
bisognava che quella povera ragazza andasse due volte al giorno ad
attingere acqua a una fontana distante pi d'un miglio e mezzo, e ne
riportasse una brocca piena. Un giorno, mentre stava appunto l alla
fonte, le apparve accanto una povera vecchia che la preg in carit
di darle da bere. "Ma volentieri, nonnina mia..." rispose la bella
fanciulla "aspettate; vi sciacquo la brocca..." E subito dette alla
mezzina una bella risciacquata, la riemp di acqua fresca, e gliela
present sostenendola in alto con le sue proprie mani, affinch la
vecchiarella bevesse con tutto il suo comodo. Quand'ebbe bevuto,
disse la nonnina: "Tu sei tanto bella, quanto buona e quanto per
benino, figliuola mia, che non posso fare a meno di lasciarti un
dono". Quella era una Fata, che aveva preso la forma di una povera
vecchia di campagna per vedere fin dove arrivava la bont della
giovinetta. E continu: "Ti do per dono che ad ogni parola che
pronunzierai ti esca di bocca o un fiore o una pietra preziosa". La
ragazza arriv a casa con la brocca piena, qualche minuto pi tardi;
la mamma le fece un baccano del diavolo per quel piccolo ritardo.
"Mamma, abbi pazienza, ti domando scusa...", disse la figliuola
tutta umile, e intanto che parlava le uscirono di bocca due rose,
due perle e due brillanti grossi. "Ma che roba questa!...",
esclam la madre stupefatta, "sbaglio o tu sputi perle e
brillanti!... O come mai, figlia mia?..." Era la prima volta in
tutta la sua vita che la chiamava cos, e in tono affettuoso. La
fanciulla raccont ingenuamente quel che le era accaduto alla
fontana; e durante il racconto, figuratevi i rubini e i topazi che
le caddero gi dalla bocca! "Oh, che fortuna...", disse la madre,
"bisogna che ci mandi subito anche quest'altra. Senti, Cecchina,
guarda che cosa esce dalla bocca della tua sorella quando parla. Ti
piacerebbe avere anche per te lo stesso dono?... Basta che tu vada
alla fonte; e se una vecchia ti chiede da bere, daglielo con buona
maniera." "E non ci mancherebbe altro!...", rispose quella sbadata.
"Andare alla fontana ora!" "Ti dico che tu ci vada... e subito",
grid la mamma.
...
Incipit
C'era una volta in un villaggio una bambina, la pi carina che si
potesse mai vedere. La sua mamma n'era matta, e la sua nonna anche
di p. Quella buona donna di sua madre le aveva fatto fare un
cappuccetto rosso, il quale le tornava cos bene a viso, che la
chiamavano dappertutto Cappuccetto Rosso. Un giorno sua madre,
avendo cavate di forno alcune stiacciate, le disse: "Va' un po' a
vedere come sta la tua nonna, perch mi hanno detto che era un po'
incomodata: e intanto portale questa stiacciata e questo vasetto di
burro". Cappuccetto Rosso, senza farselo dire due volte, part per
andare dalla sua nonna, la quale stava in un altro villaggio. E
passando per un bosco s'imbatt in quella buona lana del Lupo, il
quale avrebbe avuto una gran voglia di mangiarsela; ma poi non ebbe
il coraggio di farlo, a motivo di certi taglialegna che erano l
nella foresta. Egli le domand dove andava. La povera bambina, che
non sapeva quanto sia pericoloso fermarsi per dar retta al Lupo, gli
disse: "Vo a vedere la mia nonna e a portarle una stiacciata, con
questo vasetto di burro, che le manda la mamma mia". "Sta molto
lontana di qui?", disse il Lupo. "Oh, altro!", disse Cappuccetto
Rosso. "La sta laggi, passato quel mulino, che si vede di qui,
nella prima casa, al principio del villaggio." "Benissimo", disse il
Lupo, "voglio venire a vederla anch'io. Io piglier da questa parte,
e tu da quell'altra, e faremo a chi arriva pi presto." Il Lupo si
messe a correre per la sua strada, che era una scorciatoia, con
quanta forza avea nelle gambe: e la bambina se ne and per la sua
strada, che era la pi lunga, baloccandosi a cogliere le nocciuole,
a dar dietro alle farfalle, e a fare dei mazzetti con tutti i
fiorellini, che incontrava lungo la via. Il Lupo in due salti arriv
a casa della nonna e buss. "Toc, toc." "Chi ?" "Sono la vostra
bambina, son Cappuccetto Rosso", disse il Lupo, contraffacendone la
voce, "e vengo a portarvi una stiacciata e un vasetto di burro, che
vi manda la mamma mia." La buona nonna, che era a letto perch non
si sentiva troppo bene, gli grid: "Tira la stanghetta, e la porta
si aprir". Il Lupo tir la stanghetta, e la porta si apr. Appena
dentro, si gett sulla buona donna e la divor in men che non si
dice, perch erano tre giorni che non s'era sdigiunato. Quindi
rinchiuse la porta e and a mettersi nel letto della nonna,
aspettando che arrivasse Cappuccetto Rosso, che, di l a poco, venne
a picchiare alla porta. "Toc, toc." "Chi ?" Cappuccetto Rosso, che
sent il vocione grosso del Lupo, ebbe dapprincipio un po' di paura;
ma credendo che la sua nonna fosse infreddata rispose: "Sono la
vostra bambina, son Cappuccetto Rosso, che vengo a portarvi una
stiacciata e un vasetto di burro, che vi manda la mamma mia".
...
Incipit
Un mugnaio, venuto a morte, non lasci altri beni ai suoi tre
figliuoli che aveva, se non il suo mulino, il suo asino e il suo
gatto. Cos le divisioni furono presto fatte: n ci fu bisogno
dell'avvocato e del notaro; i quali, com' naturale, si sarebbero
mangiata in un boccone tutt'intera la piccola eredit. Il maggiore
ebbe il mulino. Il secondo, l'asino. E il minore dei fratelli ebbe
solamente il gatto. Quest'ultimo non sapeva darsi pace, per essergli
toccata una parte cos meschina. "I miei fratelli", faceva egli a
dire, "potranno tirarsi avanti onestamente, menando vita in comune:
ma quanto a me, quando avr mangiato il mio gatto, e fattomi un
manicotto della sua pelle, bisogner che mi rassegni a morir di
fame." Il gatto, che sentiva questi discorsi, e faceva finta di non
darsene per inteso, gli disse con viso serio e tranquillo: "Non vi
date alla disperazione, padron mio! Voi non dovete far altro che
trovarmi un sacco e farmi fare un paio di stivali per andare nel
bosco; e dopo vi far vedere che nella parte che vi toccata, non
siete stato trattato tanto male quanto forse credete". Sebbene il
padrone del gatto non pigliasse queste parole per moneta contante, a
ogni modo gli aveva visto fare tanti giuochi di destrezza nel
prendere i topi, or col mettersi penzoloni, attaccato per i piedi,
or col fare il morto, nascosto dentro la farina, che fin coll'aver
qualche speranza di trovare in lui un po' di aiuto nelle sue
miserie. Appena il gatto ebbe ci che voleva, s'infil bravamente
gli stivali, e mettendosi il sacco al collo, prese le corde colle
zampe davanti e se ne and in una conigliera, dove c'erano
moltissimi conigli. Pose dentro al sacco un po' di crusca e della
cicerbita: e sdraiandosi per terra come se fosse morto, aspett che
qualche giovine coniglio, ancora novizio dei chiapperelli del mondo,
venisse a ficcarsi nel sacco per la gola di mangiare la roba che
c'era dentro. Appena si fu sdraiato, ebbe subito la grazia. Eccoti
un coniglio, giovane d'anni e di giudizio, che entr dentro al
sacco: e il bravo gatto, tirando subito la funicella, lo prese e
l'uccise senza piet n misericordia. Tutto glorioso della preda
fatta and dal Re, e chiese di parlargli.
...
Incipit
C'era una volta una Regina, la quale partor un figliuolo cos
brutto e cos male imbastito, da far dubitare per un pezzo se avesse
fattezze di bestia o di cristiano. Una fata, che si trov presente
al parto, dette per sicuro che egli avrebbe avuto molto spirito: e
aggiunse di pi, che in grazia di un certo dono particolare,
fattogli da lei, avrebbe potuto trasfondere altrettanta dose di
spirito e d'intelligenza in quella persona, chiunque si fosse, che
egli avesse amato sopra tutte le altre. Questa cosa consol un poco
la povera Regina, la quale non poteva darsi pace di aver messo al
mondo un brutto marmocchio a quel modo! Il fatto egli , che appena
il fanciullo cominci a spiccicar parola, disse delle cose molto
aggiustate: e in tutto quello che faceva, mostrava un so che di cos
aggraziato, che piaceva e dava nel genio a tutti. Mi dimenticava di
dire che egli nacque con un ciuffettino di capelli sulla testa: e
per questo lo chiamarono Enrichetto dal ciuffo: perch Enrichetto
era il suo nome di battesimo. In capo a sette o otto anni, la Regina
di uno Stato vicino partor due bambine. La prima, che venne al
mondo, era pi bella del Sole; e la Regina ne sent un'allegrezza
cos grande, da far temere per la sua salute. La stessa fata, che
aveva assistito alla nascita di Enrichetto dal ciuffo, si trov
presente anche a quest'altra: e per moderare la gioia della Regina,
le dichiar che la piccola Principessa non avrebbe avuto neppur
l'ombra dello spirito, per cui sarebbe stata tanto stupida, quanto
era bella. La Regina rimase molto male di questa cosa: ma pochi
momenti dopo ebbe un altro dispiacere anche pi grosso, nel vedere
che la seconda figlia, che aveva partorito, era talmente brutta da
fare paura. "Non vi disperate, signora", le disse la fata, "la
vostra figlia sar ricompensata per un altro verso; essa avr tanto
spirito, da non avvedersi nemmeno della bellezza che non l'
toccata." "Dio voglia che sia cos!", rispose la Regina, "ma non ci
sarebbe modo di fare avere un po' di spirito anche alla maggiore che
tanto bella?" "Per quanto allo spirito, o signora, io non ci posso
far nulla", disse la fata, "ma posso tutto per la parte della
bellezza; e siccome non c' cosa al mondo che non farei per vedervi
contenta, cos le conceder in dono la virt di far diventare bella
la persona che pi sar di suo genio." A mano a mano che le due
Principesse crescevano, crescevano con esse i loro pregi, fino al
punto che non si parlava d'altro che della bellezza della pi grande
e dello spirito della minore.
...
Incipit
C'era una volta la figlia di un Re, la quale era tanto bella, che
in tutto il mondo non si dava l'eguale; e per cagione di questa sua
grande bellezza, la chiamavano la Bella dai capelli d'oro, perch i
suoi capelli erano pi fini dell'oro, e biondi e pettinati a
meraviglia le scendevano gi fino ai piedi. Essa andava sempre
coperta dai suoi capelli inanellati, con in capo una ghirlanda di
fiori e con delle vesti tutte tempestate di diamanti e di perle,
tanto che era impossibile vederla e non restarne invaghiti. In
quelle vicinanze c'era un giovane Re, il quale non aveva moglie, ed
era molto ricco e molto bello della persona. Quando egli venne a
sapere tutte le belle cose che si dicevano della Bella dai capelli
d'oro, sebbene non l'avesse ancora veduta, se ne innamor cos
forte, che non beveva n mangiava pi; finch un bel giorno, fatto
animo risoluto, pens di mandare un ambasciatore per chiederla in
isposa. Fece fabbricare apposta una magnifica carrozza per il suo
ambasciatore: gli dette pi di cento cavalli e cento servitori, e si
raccomand a pi non posso perch gli conducesse la Principessa.
Appena l'ambasciatore ebbe preso congedo dal Re e si fu messo in
viaggio, alla Corte non si parlava d'altro: e il Re, che non
dubitava punto che la Principessa non volesse acconsentire ai suoi
desideri, cominci subito a farle allestire degli abiti bellissimi e
dei mobili di gran valore. Intanto che erano dietro a questi
preparativi, l'ambasciatore, che era arrivato alla Corte della Bella
dai capelli d'oro, recit il suo bravo discorso; ma sia che la
Principessa in quel giorno non fosse di buon umore, sia che il
complimento non le andasse a genio, fatto sta che rispose
all'ambasciatore di ringraziare il Re e di dirgli che non aveva
voglia di maritarsi. L'ambasciarore se ne part dalla Principessa
dispiacentissimo di non poterla condur seco: e riport indietro
tutti i regali, che doveva presentarle da parte del Re: perch la
Prilicipessa era molto onesta, e sapeva che alle ragazze non sta
bene di accettare i regali dai giovinotti. Per cui non volle gradire
n i diamanti n le altre cose; e solo per non scontentare il Re,
accett una carta di spilli d'Inghilterra.
...
Incipit
C'era una volta un Re, molto ricco di quattrini e di terre: la
sua moglie mor, ed egli ne fu inconsolabile. Per otto giorni
intieri si chiuse in un piccolo salottino, dove picchiava il capo
nel muro, tanto era il dolore che gli straziava l'anima; per paura
che finisse coll'ammazzarsi, furono accomodate delle materasse fra
il muro e i parati della stanza. Cos poteva sbatacchiarsi a suo
piacere, e non c'era caso che potesse farsi del male. Tutti i suoi
sudditi si messero d'accordo per andare a trovarlo e dirgli quelle
ragioni credute pi adatte, per iscuoterlo dalla sua tristezza.
Alcuni prepararono dei discorsi molto seri: altri uscirono fuori con
delle cose piacevoli e anche allegre: ma tutte queste ciarle non
fecero su lui n caldo n freddo. Esso non badava neppure a quello
che gli dicevano. Alla fine gli si present, fra gli altri, una
donna tutta abbrunata e coperta di veli neri, di mantiglie e di
strascichi da gran lutto, la quale piangeva e singhiozzava cos
forte, e con urli cos acuti e sfogati, che il Re ne rimase
sbalordito. Ella gli disse che non aveva intenzione di fare come gli
altri: e che andava non per iscemargli il suo dolore, ma piuttosto
per accrescerlo, perch non sapeva che ci potesse essere una cosa
pi giusta nel mondo di quella di piangere una buona moglie perduta:
e che ella, a cui era toccato il migliore di tutti i mariti, faceva
conto di piangerlo, finch avesse avuto lacrime e occhi. A questo
punto, raddoppi le sue grida e i suoi pianti, e il Re, sull'esempio
di lei, si messe a berciare come un bambino. Egli la ricev meglio
di tutti gli altri: e le raccont la storia delle belle doti della
sua cara defunta, mentre ella faceva altrettanto dei pregi del suo
caro defunto; e discorsero tanto e tanto, che nessuno dei due sapeva
pi che cosa si dire sul conto della loro grande afflizione. Quando
la furba vedovella si accorse che l'argomento era agli sgoccioli,
alz un pochino il velo e il Re pot ricrearsi la vista nel mirare
questa bella sconsolata, che sotto due lunghe ciglia nerissime
girava e muoveva con moltissim'arte un paio d'occhi, grandi e
turchini, come l'azzurro d'un cielo stellato. Il suo carnato era
sempre fresco. Il Re cominci a guardarla con molta attenzione: a un
poco per volta, parl meno della sua moglie, e fini col non parlarne
pi. La vedova badava a dire di voler piangere sempre il suo marito:
e il Re la consigliava a non voler rendere eterno il suo dolore. Per
farla corta, tutti cascarono dalle nuvole, nel sentire che il Re
l'aveva sposata, e che il nero s'era cambiato in verde e in color di
rosa. Spesso e volentieri basta conoscere il debole delle persone,
per impadronirsi del loro cuore e farne quel che ci pare e piace. Il
Re, dal suo primo matrimonio, non aveva avuto che una sola figlia,
la quale passava per l'ottava meraviglia del mondo; e si chiamava
Fiorina, perch somigliava alla Flora, tanto era fresca, giovine e
bella. Ella non portava mai vestiti sfarzosi; preferiva invece la
seta leggera, con qualche fermaglio di pietre preziose e molte
ghirlande di fiori, che facevano una figura magnifica intorno ai
suoi bellissimi capelli. Aveva quindici anni, quando il Re si
rimarit. La novella Regina mand a prendere una sua figlia, che era
stata allevata in casa della sua comare, la fata Sussio: ma non per
questo era diventata pi bella e pi graziosa. La fata ci aveva
messo un grand'impegno: ma senza concluder nulla di buono: nondimeno
le voleva moltissimo bene. La chiamavano Trotona, perch aveva sul
viso delle macchie rossastre, come quelle della trota: i suoi
capelli erano cos grassi e imbiosimati, da non giovarsene a
toccarli e dalla sua pelle giallastra gocciolava l'unto.
...
Incipit
C'era una volta un Re il quale aveva tre figli: tre pezzi di
giovanotti forti e coraggiosi; ed egli si era messo paura che
volessero salire sul trono prima della sua morte: tanto pi, che
stando a certe voci che correvano, i suoi figli cercavano
dappertutto di farsi dei partigiani per impadronirsi del regno. Il
Re cominciava a essere un po' in l cogli anni, ma essendo ancora
verde di spirito e sano di mente, non se la sentiva punto di cedere
loro un posto, occupato da lui con tanta dignit. Pens, dunque, che
il miglior partito per vivere tranquillo fosse quello di tenerli a
bocca dolce a furia di promesse, che egli avrebbe saputo sempre
deludere e mandare in fumo. Li chiam nel suo gabinetto, e dopo aver
parlato alla buona di varie cose, salt fuori col dire: "Miei cari
figli, voi converrete meco che la mia et avanzata non mi permette
pi di accudire agli affari di Stato con lo stesso impegno d'una
volta; temo che i miei sudditi ne abbiano a risentire i danni, ed
per questo che ho deciso di mettere la corona sul capo a uno di voi
tre. Peraltro ben giusto che in compenso di un regalo simile, voi
dobbiate cercare di compiacermi nel disegno, che oramai ho fatto, di
ritirarmi in campagna. Mi pare che un canino vispo, fido, grazioso
potrebbe tenermi un'ottima compagnia: cos, senza stare a scegliere
il figlio maggiore piuttosto del minore, io vi dichiaro che quello
che di voi tre mi porter il canino pi bello, quello sar il mio
erede". I principi restarono sorpresi del capriccio del loro padre
per un canino, ma i due minori vi trovarono il loro tornaconto ed
accettarono con piacere la commissione di andare in cerca di un
cane. Quanto al figlio maggiore, era troppo timido e troppo
rispettoso per far valere i suoi diritti. Presero quindi congedo dal
Re, il quale li forn d'oro e di pietre preziose, soggiungendo che
fra un anno, n pi n meno, in quello stesso giorno e alla medesima
ora, dovessero tornare a portargli ciascuno il suo canino.
...
Incipit
C'era una volta un Re e una Regina che stavano fra loro d'accordo
come due anime in un nocciolo: si amavano teneramente ed erano
adorati dai loro sudditi; ma alla felicit completa degli uni e
degli altri mancava una cosa: un erede al trono. La Regina, la quale
sapeva che il Re l'avrebbe amata il doppio se avesse avuto un
figlio, non lasciava mai in primavera di andare a bere certe acque
che si dicevano miracolose per aver figliuoli. A queste acque ci
correva la gente in folla da ogni parte; e il numero dei forestieri
era cos stragrande, che ci si trovavano di tutti i paesi del mondo.
In un gran bosco, dove si andava a beverle, c'erano parecchie
fontane: le quali erano di marmo o di porfido, perch tutti
gareggiavano a chi le faceva pi belle. Un giorno che la Regina
stava seduta sull'orlo d'una fontana, ordin alle sue dame di
compagnia di allontanarsi e di lasciarla sola e poi cominci i suoi
soliti piagnistei. "Come sono disgraziata", diceva essa, "di non
aver figli! sono ormai cinque anni che chiedo la grazia di averne
uno; e ancora non ho potuto averla. Dovr dunque morire senza
provare questa consolazione?" Mentre parlava cos, osserv che
l'acqua della fontana era tutta mossa; poi venne fuori un grosso
gambero e le disse: "O gran Regina! finalmente avrete la grazia
desiderata. Dovete sapere che qui vicino c' un magnifico palazzo
fabbricato dalle fate: ma impossibile trovarlo, perch circondato
da nuvole foltissime attraverso alle quali non passa occhio mortale:
a ogni modo, siccome io sono vostro servitore umilissimo, eccomi qui
pronto a menarvici se volete fidarvi alla guida di un povero
gambero". La Regina lo stette a sentire senza interromperlo, perch
la cosa di vedere un gambero che discorreva, l'aveva sbalordita
dalla meraviglia: quindi gli disse che avrebbe gradita volentieri la
sua offerta, ma che non sapeva, come lui, camminare all'indietro. Il
gambero sorrise e prese subito l'aspetto di una bella vecchietta.
"Ecco fatto, o signora", le disse, "cos non cammineremo pi
all'indietro. Ma vi domando una grazia: tenetemi sempre per una
delle vostre amiche, perch io non desidero altro che di esservi
utile a qualche cosa."
...
Incipit
C'era una volta un Re, il quale era proprio una persona tanto
perbene, che i suoi sudditi lo chiamavano il Re buono. Un giorno,
mentre trovavasi a caccia, accadde che un coniglio bambino, che
stava l per essere ucciso dai cani, venne a gettarsi fra le sue
braccia. Il Re fece delle carezze alla povera bestiolina e disse:
"Giacch si messo sotto la mia protezione, non voglio che nessuno
gli faccia del male". E port il piccolo coniglio nel suo palazzo, e
gli fece dare una bella stanzina e delle erbe eccellenti da
mangiare. Nella notte, quando fu solo in camera, il Re vide apparire
una bella donna, la quale non era vestita con abiti ricamati d'oro e
d'argento, ma la sua veste era bianca come la neve, e portava in
testa una corona di rose bianche. Il buon Re rimase molto
maravigliato nel vedere questa signora, tanto pi che l'uscio di
camera era chiuso, n sapeva capacitarsi come diavolo avesse fatto a
passar dentro. "Io sono la fata Candida, e passando per il bosco
mentre eravate a caccia, volli vedere se veramente siete quel buon
Re, che tutti dicono. A questo fine presi la figura di un piccolo
coniglio e mi messi in salvo fra le vostre braccia: perch so che
chi sente piet per le bestie, la sente anche per gli uomini: e se
mi aveste ricusato il vostro soccorso, vi avrei tenuto per un
cattivo. Vi ringrazio dunque del bene che mi avete fatto, e contate
che io sar sempre vostra buonissima amica. Voi non dovete far altro
che chiedere, e tutto vi sar accordato". "Signora", disse il buon
Re, "poich siete una fata, voi dovete leggermi in cuore quel che
desidero. Io non ho che un figlio solo, al quale voglio un bene
dell'anima, tanto che lo chiamano tutti il Principe Amato. Se mi
volete fare un regalo, pigliate a benvolere questo mio figlio." "Con
tutto il cuore", rispose la fata, "io posso fare del vostro figlio o
il pi bel Principe del mondo, o il pi ricco, o il pi potente.
Scegliete voi."
...
Incipit
C'era una volta un mercante che era ricco sfondato. Aveva sei
figliuoli, tre maschi e tre femmine; e siccome era un uomo che
sapeva il vivere del mondo, non risparmi nulla per educarli e diede
loro ogni sorta di maestri. Le sue figlie erano bellissime: la
minore soprattutto era una maraviglia, e da piccola la chiamavano la
bella bambina, e di qui le rimase il soprannome di Bella, che fu poi
cagione di gran gelosia per le sue sorelle. Questa figlia minore,
oltr'essere la pi bella, era anche la pi buona delle altre. Le due
maggiori, perch erano ricche, avevano molto fumo; si davano l'aria
di grandi signore, e non gradivano la compagnia delle figlie degli
altri negozianti, ma se la dicevano soltanto col nobilume. Andavano
dappertutto: ai balli, alle commedie, alle passeggiate; e si
ridevano della sorella minore, perch spendeva una gran parte del
suo tempo nella lettura dei buoni libri. E perch si sapeva che
erano molto ricche, parecchi negozianti, di quelli grossi davvero,
le chiesero in mogli; ma la maggiore e la seconda dissero chiaro e
tondo che non si sarebbero mai maritate, se non fosse capitato loro
un Duca o a dir poco un Conte.
La Bella (oramai vi ho detto che questo era il nome), la Bella,
dunque, ringrazi con molta buona maniera coloro che volevano
sposarla: e disse che era troppo giovane e che voleva tener
compagnia ancora per qualche anno al suo genitore. Quand'ecco che
tutto a un tratto il mercante fece un gran fallimento e non gli
rimase altro che una piccola casa assai lontana dalla citt. Disse
allora ai suoi figli, colle lacrime agli occhi, che bisognava
rassegnarsi e andare ad abitare in quella casetta dove, mettendosi
tutti a fare i contadini, avrebbero potuto campare e tirarsi avanti.
Le due ragazze pi anziane risposero che non volevano saperne nulla
di lasciare la citt, dov'avevano molti amanti, ai quali non sarebbe
parso vero di poterle sposare, anche senza un soldo di dote. Ma le
povere figliuole s'ingannavano all'ingrosso perch, quando furono
povere, tutti i loro amanti girarono largo. E siccome, a motivo
della loro superbia, non erano in generale ben vedute, cosi dicevano
tutti: "Non meritano compassione: giusta che abbiano dovuto
ripiegare le corna; che vadano ora a fare le grandi signore dietro
le pecore e i montoni!". Ma nel tempo stesso tutti dicevano: "Quanto
alla Bella, ci rincresce proprio della sua disgrazia: una gran
buona figliuola! cos alla mano coi poveri, e tanto amorosa e
gentile!".
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